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sábado, 19 de noviembre de 2016

Lo que se esconde tras las carreras de galgos… @dealgunamanera...

Lo que se esconde tras las carreras de galgos…


¿Cómo no agradecer la sinceridad de Diana Conti?

© Escrito por Carlos Pagni el sábado 19/11/2016 y publicado por el Diario La Nación de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires.


Así como propuso que Cristina Kirchner se eternizara, así como alegó que con la política hay que enriquecerse, el miércoles defendió las carreras de galgos.

Las reivindicó como una fuente de trabajo para los veterinarios. Denunció que quienes las prohíben son "porteñitos" sugestionados por TN.

A Conti le faltó un argumento: esas carreras son un negocio de los operadores del juego clandestino. Sin ir más lejos, hace dos semanas se clausuró un canódromo en Luján.

¿Estuvo la mano de estos levantadores de apuestas detrás de los diputados que votaron en contra, se abstuvieron o faltaron?

La colérica Conti no logró la unidad de su bancada. Máximo Kirchner se abstuvo. Y Kicillof votó a favor.

Tal vez si hubieran advertido un dato de esa actividad todos se habrían inclinado por el no. Entre kirchnerismo y juegos de azar hay siempre una alianza incondicional.

Se advertiría si un día prohíben las carreras de caballos: habría una protesta nacional y popular, con Cristóbal López a la cabeza.




domingo, 2 de febrero de 2014

L'ultimo tango dell'Argentina che spaventa il mondo… De Alguna Manera…


L'ultimo tango dell'Argentina che spaventa il mondo…


La banca centrale sta combattendo una battagli disperata contro la svalutazione del peso. Servono duecento milioni di dollari al giorno per salvare il Paese dal baratro ne quale sta nuovamente precipitando. Torna l'incubo del 2001: default e sanguinosa cancellazione del debito. Da allora molto è cambiato: gli investimenti stranieri ormai guardano altrove e oggi Buenos Aires è sola.

BUENOS AIRES - L'ingresso della Banca centrale a Buenos Aires è un tempietto neoclassico di colonne bianche non lontano da luoghi molto più carichi di passato e simboli: la plaza de Mayo, la Casa Rosada, la Cattedrale dell'episcopato. È il "microcentro" della capitale argentina, la City. Un reticolo di stradine pedonali dove di giorno è quasi impossibile camminare senza sbattere contro qualcuno ma che, dopo il tramonto si svuota, diventando un labirinto abbastanza pericoloso per l'incolumità del neofita. È qui, nella Banca centrale, che si combatte in queste ore l'ultima guerra d'Argentina, la battaglia del peso. Sostenere la moneta locale dalla svalutazione sta costando alle riserve monetarie del Paese quasi 200 milioni di dollari al giorno. Tanti ne stanno gettando sul mercato i funzionari della Banca per impedire il disastro. Ma, a questi ritmi, è una guerra già persa. Sul campo minato della battaglia finanziaria l'Argentina ha già lasciato quasi 4 miliardi di dollari delle sue riserve nel breve volgere di dicembre e gennaio, l'estate australe da queste parti. Due mesi, massimo tre, dicono gli economisti, e quando lo Stato non avrà più dollari per sorreggere il valore della sua moneta arriverà il crac. Si salvi chi può.

D'altra parte basta dare uno sguardo alle cifre. Il dollaro si scambia sul mercato ufficiale controllato a 8 pesos mentre su quello "vero", parallelo, libero, continua a crescere. Era a undici, poi a dodici, oggi è a tredici. Il 60% di più. Per contenere la pressione, all'inizio della settimana, il governo ha dischiuso l'uscio. Ha svalutato e liberato parzialmente l'acquisto di dollari che era completamente proibito alle persone dalla fine del 2011. Non basta. La fuga dai pesos è ormai un fiume in piena e chiunque ha risparmi cerca di metterli al sicuro nelle monete forti.

Così l'Argentina è tornata a correre sull'ottovolante come alla fine del 2001 quando la crisi precipitò nel default, nella cancellazione del debito estero dei bond (che tanti risparmiatori italiani stanno ancora soffrendo) e in una delle svalutazioni più pesanti della storia. Lo scenario c'è tutto. L'inflazione cresce (+4% solo a gennaio), il deficit fiscale - ossia la differenza fra quanto lo Stato spende e quanto incassa - pure. Mentre i sindacati si preparano al rinnovo dei contratti pretendendo aumenti al di sopra del 30%, ossia l'inflazione reale del 2013. L'altro guaio che confonde la congiuntura è l'immagine di debolezza e confusione del governo.

La Presidenta Cristina Kirchner non c'è. A dicembre è scomparsa per settimane nei suoi possedimenti in Patagonia convalescente per una operazione. A causa di una caduta le si era formato un ematoma nel cranio. È tornata a Buenos Aires solo per andare all'Avana dove, mentre il suo esecutivo tremava, si è fatta fotografare insieme a Fidel Castro e alla moglie dell'anziano ex lider maximo, Delia Soto del Valle. Ha evitato accuratamente il vertice economico di Davos. È nervosa, distratta. Forse vorrebbe addirittura mollare prima di essere travolta dalla tempesta in arrivo. In tv vanno, una volta per uno, il segretario alla presidenza, Capitanich, e il ministro dell'Economia, Axel Kicillof. Provano a mettere delle pezze. Chi compra dollari per la paura del crollo del peso è "un traditore della patria", affermano. "L'ultima svalutazione non avrà effetto sui prezzi", giurano. Altrimenti minacciano multe e sanzioni ai negozi che "speculano". Ma il circolo ormai è vizioso e nessuno sa veramente cosa fare per invertire lo scivolone ormai dietro l'angolo.

Se lo Stato spende i suoi dollari per sostenere il peso, non ne ha per finanziare le importazioni. I supermercati si svuotano, le fabbriche si fermano. La scarsità dei prodotti rilancia l'inflazione. Nessuno vende perché non sa quanto costerà domani quello che ha. Così si favoleggia di container alla rada lontano dal porto pieni di mercanzie che gli importatori non scaricano. Aspettano per evitare di perderci.

Il problema - dice un analista finanziario - è che a Buenos Aires da tempo "il denaro scotta in mano". Una famiglia di classe media che ha risparmi in pesos non sa cosa farsene se non osservare come perdono valore. Non li mette in buoni del Tesoro perché dopo il fallimento del 2001 non si fida. Fino all'altro ieri non poteva neppure cambiarli in dollari perché era proibito. E non può neanche investirli nel mercato immobiliare perché, da quando Cristina ha deciso che le transazioni per l'acquisto di immobili possono avvenire solo in pesos, nessuno vende più. Stagflazione è la parola maledetta. Vuol dire stagnazione economica, crescita inesistente del Pil con inflazione alta. È comunque il destino prossimo dell'economia argentina se i suoi piloti riusciranno a salvarla dal tracollo del default della fine dei dollari nelle casse del Banco Centrale.

In fondo è uno scenario semplice, il governo dovrebbe tagliare, e molto, le spese. Ma non può, senza incendiare il Paese. In questa strettoia da brividi Capitanich e Kicillof si trovano abbandonati dalla Presidenta. Kicillof è un ministro dell'economia molto giovane. Poco più di quarant'anni. Ha assunto l'incarico a dicembre scalzando il suo rivale perché, si dice, ha sedotto Cristina intuendone la psicologia. È piuttosto bello, ma anche un po’ presuntuoso. Kicillof è un simpatizzante di Carlo Marx. Da assistente all'Università faceva lezioni sul plusvalore e sul feticismo delle merci. Ora vorrebbe smentire i manuali d'economia e avviare l'Argentina verso la "fine del capitalismo".

Nuove tormente sembrano inevitabili anche se la differenza con il 2001 è profonda. Questa volta l'Argentina è da sola con i suoi ciclici drammi politico-economici. Si teme un contagio regionale, ma nulla di più. Il Paese della Kirchner è da tempo fuori dai mercati del credito, litiga con l'Fmi e non ha forme per finanziare i suoi debiti. Gli investimenti stranieri se ne sono andati verso la Colombia, nuovo gioiello dell'economia sul Pacifico. Se il peggio deve ancora arrivare la politica già si muove per spartirsi il dopo Cristina. Sperando che non sia così drammatico come si preannuncia. Le elezioni sono lontane, in teoria. Fine 2015. Ma Cristina ci arriverà?

Una variabile positiva, si sostiene nella capitale, questa volta potrebbe essere il Papa argentino. Sui giornali adesso Bergoglio furoreggia per la copertina di Rolling Stone e il disegno nel quale vola come Superman. E c'è perfino un aspirante candidato che attende la benedizione dal Vaticano per lanciarsi nella scalata alla Casa Rosada. È il presidente del Parlamento Julian Dominguez che sogna un movimento alla Solidarnosc, Wojtyla più Walesa, per rimettere a posto il Paese e regalargli un futuro meno tragico.

Poi c'è anche chi se ne va. È triplicato in pochi mesi il numero degli argentini che scelgono di spostare la residenza nel vicino Uruguay. Lungo le spiagge di Punta del Este. Hanno cominciato gli intellettuali e gli artisti come la disegnatrice Maitena, famosissima qui per una deliziosa striscia di comics, e il ballerino Julio Bocca. E la tendenza ha successo. D'altra parte perché restare a Buenos Aires che sarà anche bella ma è sporca, pericolosa, caotica e dall'avvenire incerto? Molto meglio il piccolo Stato riformista di Pepe Mujica. Magari noioso, ma ben governato e accogliente dall'altra parte del Rio de la Plata. Chi non può, e sono naturalmente la stragrande maggioranza, attende intrepido. L'Argentina è sull’ottovolante del suo ennesimo tango monetario e nessuno può prevedere quando e soprattutto come scenderà.

© Escrito por Omero Ciai  el Sábado 1º de Febrero de 2014 y publicado por http://www.repubblica.it/


 

domingo, 6 de mayo de 2012

CKF... Último servicio… De Alguna Manera...

Ultimo servicio…
YPFCFK Cristina Fernández. Dibujo: Pablo Temes.

Una frase presidencial heló la sangre de los cristinistas pollerudos. Por qué dice no a la re-re.

La Presidenta anunció que quería dar “sus últimos servicios a todos los argentinos” y a los cristinistas que se cuelgan de sus polleras se les heló la sangre. Hubo un murmullo en e l Salón de las Mujeres de la Casa Rosada. Varios lo interpretaron como la confirmación de que CFK no pretende forzar la reforma constitucional para intentar la re-reelección. El párrafo textual fue el siguiente: “Tenemos que hacer una empresa moderna, competitiva, profesionalizada, alineada con los intereses del país y también con los de la joven generación que la debe conducir, bajo la dirección política de alguien no tan joven como es esta Presidenta, pero que sinceramente quiere dar sus últimos servicios a todos los argentinos”.

Fue el gran comentario de los pasillos. Muchos habían olfateado un tufillo raro en las declaraciones de Hebe de Bonafini que fueron en el mismo sentido. El párrafo textual fue el siguiente: “No creo que tenga que seguir Cristina, aunque sí quiero que continúe este proyecto nacional y popular. Hay mucha gente piola en el kirchnerismo, muy interesante para que sea presidente de este país y que por ahí no la conocemos tanto y son fantásticas”.

Todavía falta mucho y no hay nada definido. La hora de la verdad será la medianoche de las elecciones legislativas de 2013. Contará los porotos y, con el nuevo escenario, la Presidenta tomará la decisión más importante de los próximos años. Seguramente aumentará la cantidad de diputados y senadores. Se renovará la elección de 2009 donde el kirchnerismo sacó el 29%. Así que todo lo que saque por encima de ese porcentaje se reflejará en el crecimiento de sus bloques. Es cierto que un comicio de medio tiempo produce una mayor atomización y si cada uno vota con su corazón y no hace uso del voto útil como en una presidencial, tal vez baje bastante del 54%. Pero si logra un nada fantasioso 40%, por ejemplo, tal vez consiga los dos tercios de los legisladores para declarar la necesidad de la reforma constitucional. Esa noche, Cristina tendrá la mesa de arena adelante y el balance de sumas y saldos. Ese momento además mostrará si hubo algún candidato que haya mostrado uñas de guitarrero para las ligas mayores. ¿Máximo o Alicia Kirchner? ¿Axel Kicillof? No sobran.

Son especulaciones que corresponde hacer después de lo que dijeron Cristina y Hebe, y después de comprobar que la Presidenta es, por lejos, el mejor cuadro político de estos tiempos. No hay en la oposición ningún dirigente de su talla y el único que podría acercársele por imagen positiva, intención de voto y experiencia de gobierno es Daniel Scioli.

Aquí es donde se dividen las aguas. Cristina hoy es la única persona que tiene prohibido presentarse nuevamente como candidata presidencial. La Constitución no se lo permite. Pero la historia de los Kirchner demuestra que nunca se detuvieron frente a esas minucias. Ya lo hicieron en Santa Cruz y lo pueden volver a hacer. Si se pudo se puede, diría Pino Solanas. Modificaron la Carta Magna al solo efecto de permitir la reelección de Néstor y desde entonces es una de las tres provincias argentinas donde un gobernante puede seguir en el poder indefinidamente.

Si la Presidenta decidiera abdicar y entregar el mando, se desataría la batalla por la sucesión. El esfuerzo físico y psicológico de ella ha sido muy grande. La viudez y la responsabilidad la llevaron al límite de sus posibilidades. Tal vez por eso sugiere que en el 2015 se vuelve a Calafate, su lugar en el mundo y la capital de la impunidad.

¿Se destruirá el Frente para la Victoria en ese caso? Es impensable que Scioli pueda representar ese espacio que, desde el acto de Vélez, ya no lo conforman la CGT, el PJ y un sector de los intendentes del Conurbano. La vanguardia que Cristina no quiere que se convierta en patrulla perdida (para utilizar sus palabras) son los muchachos de La Cámpora, el Movimiento Evita, el Frente Transversal y la Corriente que conducen Máximo y Andrés Larroque, Emilio Pérsico, Edgardo Depetri y Agustín Rossi. Ese es el primer círculo que se completa con algunos funcionarios como Carlos Zannini, Héctor Icazuriaga, Guillermo Moreno y Axel Kicillof.

El que más herido salió de este último embalaje fue Amado Boudou. Judicialmente está imputado pero será salvado con la misma metodología que la causa Skanska, tal como anticipó Juan Manuel Abal Medina. Pero políticamente fue herido de muerte. Ni sus propios compañeros le creen. Su última audacia fue presentar un escrito donde afirma insólitamente que fue víctima de una conspiración de Righi, Rafecas y los medios hegemónicos. La impecable e inconclusa investigación de Carlos Rívolo mostró que el vice está flojo de papeles por donde se lo mire y que el delito de negociaciones incompatibles con la función pública está casi probado. En respuesta, Boudou estuvo alardeando de lo que carece y sobreactuando con la fe de los conversos. Abrazo de gol con Ricardo Forster en Vélez, del brazo y por la calle con Bonafini casi día por medio y una despedida guevarista en el escenario de Foz de Iguazú, en un encuentro de dirigentes sindicales latinoamericanos: “Hasta la victoria siempre”. Pablo Miceli, el jefe de la CTA opositora, lo contó con vergüenza ajena. Solo le falta decir “Proletarios del mundo, uníos”. ¿La Mancha de Rolando sabrá los acordes de La Internacional?

Los tiempos se aceleran y el sciolismo está alistando la tropa a pesar de Scioli. El no aparece en los encuentros con todo el peronismo no kirchnerista que se mueve más de lo que se conoce. Su estado mayor encabezado por Alberto Pérez va a todos lados. Hugo Moyano y su gente; José Manuel de la Sota y los suyos, y un centenar de ex funcionarios emigrados o expulsados del kirchnerismo (Alberto Fernández, Alberto Iribarne y Julio Bárbaro encabezan la lista) se comunican regular y reservadamente para tratar de articular el post-cristinismo. Los favorece la bronca por el aumento del endeudamiento de provincias y municipios, la fuga de dólares, las irracionales trabas a la importación, la desaceleración del crecimiento y la recaudación, y la fuerte caída de la inversión. Pero nadie se apura a pegar el salto. Ninguno come vidrio y todos esperan que mueva Cristina.

© Escrito por Alfredo Leuco y publicado por el Diario Perfil de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires el domingo 6 de Mayo de 2012.